Pochi giorni fa sono state smontate da due altari marmorei della navata destra le importanti pale d’altare con l’Estasi di San Francesco di Sales, dipinta dal senese Raffaello Vanni (1595-1673), e con lo Sposalizio mistico di Santa Caterina da Siena, del fiorentino Pietro Dandini (1646-1712).
L’operazione è stata resa necessaria per restaurare le monumentali strutture architettoniche, che mostrano una gran sofferenza strutturale per le infiltrazioni di acqua dalle coperture durate troppo a lungo nei secoli, ma di recente arrestate dai debiti interventi di bonifica. Contemporaneamente al lavoro di carattere edile e di pulitura dei variegati marmi policromi degli altari, potrà essere fatto anche il necessario intervento sulle tele, che appaiono sostanzialmente bene conservate, ma coperte da molta sporcizia e velate da una vernice ormai troppo ingiallita, che può risalire all’intervento generale di restauro attuato all’aprirsi dell’Ottocento, per porre rimedio ai guasti apportati dal terremoto del 1798. Si potrà così tornare a vedere la chiara tavolozza che il Vanni predilesse per il suo dipinto. Fu papa Alessandro VII Chigi (Siena, 1599 – Roma, 1667) a volere questa raffigurazione, per dimostrare la venerazione verso Francesco di Sales, da lui fatto beato nel 1661 e poi canonizzato nel 1665. L’altare porta infatti lo stemma del papa e quello del cardinal nipote Flavio Chigi, che fece terminare l’impresa di questa cappella.
Nell’adiacente altare del cardinale e arcivescovo di Siena Celio Piccolomini (Siena, 1609-1681) è un’importante testimonianza della pittura fiorentina, collocata nel 1679. Pier Dandini vi dimostra tutto il suo estro barocco, nell’illustrare il matrimonio mistico di Santa Caterina da Siena. Con tale figurazione si volle cambiare la titolazione dell’altare, che in precedenza era dedicato a Sant’Antonio abate.
Rimovendo questa grande pala d’altare è riaffiorato un grande frammento di un antico affresco. Nonostante la consunzione della malta sono ancora visibili alcuni busti di sante, tutte provviste di aureola dorata e tempestata di decori a stampo. Si tratta di un’antica figurazione dipinta sul fondale della cappella tardomedievale, a fare da ornamento a un trittico su tavola posto sull’altare. Di questo allestimento esiste una preziosa testimonianza raffigurata da Pietro di Francesco Orioli sulla copertina della Gabella del 1483 (oggi all’archivio di Stato di Siena), sulla quale si volle far dipingere l’omaggio delle chiavi della città alla venerata immagine della Madonna delle Grazie. Se l’esistenza di questo insolito documento visivo fa tornare indietro nel tempo ad assistere a quella importante celebrazione votiva, la conservazione di tanti documenti cartacei nel grande archivio dell’Opera del Duomo consente addirittura di recuperare il nome dell’artista che affrescò il fondale della cappella al tempo dedicata a Sant’Antonio abate. Il 6 aprile 1400 Paolo di Giovanni Fei fu pagato ben 15 fiorini d’oro “per chagione di cierto lavorio che fecie a la cappella di sant’Antonio in duomo, cioè, di dipintura, per oro e azurro, e ogni altra sua spesa”. Quanto resta delle gentili facce delle sante riscoperte permette ancora di riconoscere la maniera gentile e vera di Paolo di Giovanni Fei (Siena, noto dal 1369 – morto nel 1411), uno dei maggiori pittori del tempo, che seppe recuperare la lezione dei grandi maestri del primo Trecento, traghettando la scuola senese verso la vitale stagione del tardogotico.